La violenza psicologica è diversa da quella fisica, ma non migliore. Vediamo quali sono i sintomi che devono spingere a chiedere aiuto.
Che avvenga in famiglia, con il partner o sul luogo di lavoro, la violenza psicologica si manifesta sempre con il medesimo modus operandi. Le vittime, che spesso non si sentono tali, difficilmente ammettono di vivere in balia di un carnefice. Pertanto, diamo uno sguardo ai sintomi davanti ai quali è bene chiedere aiuto e fuggire a gambe levate.
Violenza psicologica e violenza fisica
Spesso, quando si parla di violenza si pensa esclusivamente a quella fisica. Eppure, anche i maltrattamenti psicologici hanno la medesima importanza. Che avvengano all’interno della famiglia, con il partner o a lavoro, il succo non cambia: sono inammissibili e come tali vanno denunciati. La violenza verbale è costituita da: offese, critiche, accuse, mancanza di rispetto, svalutazione, menzogna, ricatti e controllo della libertà personale. Si tratta di una formula subdola di violenza perché, oltre a non essere visibile, è quasi sempre negata dalle vittime, un po’ come succede quando una donna con un occhio nero si presenta in ospedale e inventa di essere caduta dalle scale. Anche quando si tratta di pressione psicologica, difficilmente la persona che la subisce ammette di vivere immersa in una relazione tossica.
Violenza psicologica: sintomi
Il carnefice mette in pratica un meccanismo di sopraffazione che, nel tempo, mina il valore personale, il senso di identità, la dignità e l’autostima dell’altra persona. La pressione verbale sulle donne si manifesta con:
- umiliazione e critica: dalla svalutazione del lavoro, degli studi e degli interessi ai commenti negativi sull’abbigliamento, passando per insulti veri e propri alla persona;
- controllo: dagli spostamenti, con la pretesa di una risposta immediata a chiamate o messaggi, a internet, social network, email, messaggi e chiamate. Il tutto per monitorare le interazioni sociali dell’altro. Tendenza a impartire ordini e lezioni su ciò che è giusto fare in diversi ambiti, dall’abbigliamento da indossare ai cibi da mangiare. Da esplosioni di rabbia si passa a momenti di grande affettività e gentilezza che lasciano confusa e disorientata la vittima; gelosia patologica, con tendenza a esercitare un dominio e un possesso nei confronti dell’altro;
- accuse e negazione: tendenza ad attribuire alla vittima la causa della loro rabbia e del loro comportamento, con conseguente destabilizzazione volta a farle credere di essere pazza. Negazione dell’abuso: ogni volta che la vittima prova a lamentarsi del loro trattamento, negheranno o comunque accuseranno lei di aver reagito in modo eccessivo.
- trascuratezza emotiva: tattica del silenzio, con tendenza a interrompere la comunicazione ignorando i tentativi di dialogo; indifferenza nei confronti della sofferenza e del bisogno di aiuto perché giudicato come eccessivo; tendenza a isolare la vittima da tutte le persone vicine (familiari o amici), o mettendole contro facendo appello a una sua instabilità psicologica.
Violenza psicologica familiare: cosa fare
Le violenze psicologiche si manifestano sempre con gli atteggiamenti sopraelencati e possono anche non sfociare mai in violenza fisica. Per questo, il carnefice crede di non fare violenza o comunque di utilizzare una forma di maltrattamento molto diversa da quella fisica. Questi soprusi non sono visibili agli altri, ma entrano con forza nell’anima della vittima. Quest’ultima, non a caso, fa fatica ad ammettere di avere un problema, soprattutto a causa del lavaggio del cervello ricevuto. La persona crede di essere colpevole o meritevole di una simile violenza ed essendo isolata dagli altri non ha modo di capire che in realtà è perfetta così com’è. Pertanto, resta in attesa che il partner cambi e che questa battaglia finisca. Si sente impotente, senza via d’uscita, e manifesta ansia, senso colpa e vergogna che possono sfociare in depressione, disturbi del sonno e disturbo da stress post-traumatico.
La vittima, quindi, si sente colpevole e prova vergona, motivo per cui non riesce a parlarne o a chiedere aiuto. Non solo, sviluppa anche una forte dipendenza nei confronti dell’abusante e, di conseguenza, ne sminuisce il comportamento psicologicamente violento. Per uscire da queste difficili situazioni relazionali la parte più difficile è ammettere e riconoscere che ciò che si sta vivendo è qualcosa di tossico. Per tornare a vivere, però, è necessario chiedere aiuto ad uno psicoterapeuta.