Sinestesia, un doppio significato: tutto quello che c’è da sapere sulla malattia e sulla figura retorica.
C’è una condizione molto particolare, e molto rara, che affligge, o meglio accompagna, alcune persone. Si tratta della sinestesia. Il termine non ti è nuovo? Possibile, visto che si tratta anche di una famosa figura retorica molto utilizzata in poesia. A rendere nota la malattia, o più correttamente il fenomeno neurologico, è stata però un’appassionante fiction televisiva, Viola come il mare, la cui protagonista è appunto afflitta da questo tipo di disturbo. Scopriamo insieme di cosa si tratta.
Qual è il significato di sinestesia in psicologia
In psicologia quando si parla di sinestesia ci si riferisce a un fenomeno percettivo, molto raro, che accade nel momento in cui la stimolazione di uno dei sensi provoca in contemporanea una percezione secondaria in un altro senso. In questo caso il cervello elabora quindi in una sola volta due tipi di informazioni, generando un’esperienza di percezione simultanea. Ad esempio, chi sperimenta un episodio sinestetico può udire un suono e contemporaneamente vederne i colori, oppure può sentire una parola e provare uno strano sapore in bocca.
Si tratta di un fenomeno molto raro, che interessa una percentuale che va dallo 0,05% all’1% della popolazione mondiale, anche se recenti studi hanno portato ad alzare il dato fino al 4%. Non esistono spiegazioni scientificamente approvate sulle cause di questo fenomeno, sul quale si sta ancora indagando alla ricerca di basi neuro-fisiologiche che siano attendibili.
Secondo alcune fonti, la sinestesia potrebbe essere naturale e spontanea, nella maggior parte dei casi, oppure frutto di assunzione di sostanze allucinogene, di danni cerebrali, traumi cranici o patologie neurologiche.
Esistono diversi casi di fenomeni sinestetici. Il più frequente è quello grafema-colore, che permette divedere un colore quando sentiamo pronunciare un numero o una lettera. Le altre forme di sinestesia psicologicamente accettate sono invece:
– quella audio-visiva (quando un suono genera stimoli cromatici o porta alla mente alcune forme geometiriche);
– quella tattile-specchio (quando la semplice osservazione di altre persone induce in noi sensazioni tattili);
– quella lessico-gustativa (quando un gusto viene associato a una parola);
– quella spazio-temporale (quando lo scorrere del tempo viene associato con una disposizione spaziale);
– quella numero-forma (quando un numero compare nella nostra mente in una mappa di una determinata forma);
– quella audio-tattile (quando una sensazione tattile si ricollega a un determinato suono);
– quella che riguarda la personificazione del linguaggio (quando ogni lettera, numero o parola è associata a una persona a un comportamento);
– quella relativa alla misofonia (quando alcuni suoni evocano emozioni negative).
La sinestesia come figura retorica
Ma la sinestesia è anche e soprattutto, almeno in ambito scolastico, una figura retorica. La parola sinestesia deriva dal greco syn, ‘insieme’ e aisthanomai, ‘percepisco’, e richiama in tutto e per tutto il significato assunto in ambito psicologico. Questo tipo di metafora prevede infatti l’accostamento di due parole appartenenti a due sfere sensoriali differenti.
Viene utilizzata molto in poesia, ma non è raro ritrovarla anche in prosa. Tra gli esempi più illustri ricordiamo:
– Dolce e chiara è la notte e senza vento (La sera del dì di festa di Giacomo Leopardi)
– L’odorino amaro (Novembre di Giovanni Pascoli)
– Venivano soffi di lampi (L’assiuolo di Giovanni Pascoli)
– Fresche le mie parole (La sera fiesolana di Gabriele D’Annunzio)
– Urlo nero (Alle fronde dei salici di Salvatore Quasimodo)
Anche Fabrizio De André fece ricorso a questa figura retorica in alcune canzoni, come ne Il sogno di Maria: “Quando mi chiese ‘conosci l’estate?’ io per un giorno, per un momento, corsi a vedere il colore del vento“.