Sindrome di Guillain-Barré: cos’è, quali sono i sintomi e la cura. Ecco cosa sappiamo sulle conseguenze di questa malattia
La sindrome di Guillain-Barré (pronuncia ‘ghillan-barré), deve il suo nome a due neurologi francesi che la studiarono per la prima volta nel 1916. Patologia che colpisce il sistema nervoso periferico e, in alcuni casi, anche quello centrale, può essere scatenata da infezioni virali o batteriche che provocano una risposta autoimmune e quindi un attacco del sistema immunitario contro i fasci mielinici. Attacco che finisce per causare una paralisi progressiva degli arti, solitamente prima delle gambe e poi delle braccia.
L’incidenza in Europa
Nonostante possa essere correlata a infezioni, non si conoscono ancora pienamente le cause che determinano lo scatenarsi della malattia, che resta piuttosto rara. In Europa colpisce da una a due persone su 100mila all’anno. Tuttavia, è ad oggi la prima causa non traumatica di paralisi. Generalmente si manifesta da cinque giorni a tre settimane, in seguito a un’infezione, un intervento chirurgico o una vaccinazione, anche antinfluenzale.
Sindrome di Guillain-Barré: i sintomi
Si può guarire da questa sindrome? Nei casi più lievi sì, il recupero è possibile. Non tutte le forme di Guillain-Barré sono infatti severe. Ma quali sono i sintomi per poterla riconoscere in tempo? In generale dolore, intorpidimento, parestesia (alterazione della sensibilità ma senza dolore), fino a una progressiva paralisi delle gambe. Col tempo si possono manifestare anche paralisi facciale, difficoltà di deglutizione e respirazione e salivazione aumentata.
Generalmente la malattia ha un decorso che porta dopo un inasprimento dei sintomi a una fase di stabilità della durata di circa una settimana, per poi iniziare la fase di recupero funzionale. Solo nelle forme molto acute della sindrome si arriva alla paralisi permanente. Più in generale solo nel 2% dei casi la malattia è letale, mentre nella maggior parte dei pazienti in alcuni mesi arrivano sostanziali miglioramenti, anche se circa il 30% dei colpiti presenta debolezza nei tre anni successivi.