Sindrome di Stoccolma, cos’è: i sintomi del disturbo del carceriere

Sindrome di Stoccolma, cos’è: i sintomi del disturbo del carceriere

Che cos’è la sindrome di Stoccolma? Disturbo che riguarda la psiche dell’individuo, si manifesta in seguito ad un legame traumatico.

Nota anche come morbo del carceriere, la sindrome di Stoccolma nasce in seguito ad un legame traumatico. E’ un disturbo della sfera psicologica e si manifesta con un attaccamento morboso nei confronti di un carnefice. Vediamo quali sono i sintomi e la cura.

Sindrome di Stoccolma: significato

La sindrome di Stoccolma o morbo del carceriere è un particolare stato di dipendenza psicologica/affettiva che una vittima nutre nei confronti del suo carnefice. Coloro che la sviluppano provano un sentimento positivo nei riguardi dell’aggressore e arrivano ad instaurare con lui un legame forte e di totale sottomissione volontaria. Non solo, tra i due nasce una specie di rapporto di alleanza e solidarietà. Questo disturbo, ad esempio, può essere riscontrato nelle situazioni di violenza sulle donne e negli abusi sui minori. Non a caso, le statistiche dicono che la sindrome di Stoccolma è più frequente nelle donne, nei bambini e nei prigionieri di guerra.

Anche se è definita come una sindrome, al momento non è considerata una patologia clinica e non rientra nelle malattie psichiatriche. Perché questo disturbo è associato alla città svedese? Semplice, perché è proprio a Stoccolma che, per la prima volta, si è manifestato. Era il 23 agosto del 1973 e due soggetti evasi dal carcere tentarono di rapinare una banca, prendendo in ostaggio quattro impiegati, 3 donne e 1 uomo. Le vittime rimasero in mano agli aguzzini per cinque giorni, durante i quali la Polizia cercò di trattare il rilascio degli ostaggi. In questo arco di tempo, però, tra le vittime e i carnefici nacque un rapporto d’affetto. Non a caso, quando il sequestro finì, i quattro impiegati andarono a trovare gli aggressori in carcere e una delle donne rapite lasciò il marito per risposarsi con uno di loro. Il fatto di cronaca destò grande scalpore e il criminologo e psicologo Nils Bejerot coniò il termine sindrome di Stoccolma per definire quella reazione emotiva al trauma, sviluppata a livello inconscio e legata all’essere vittima.

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Sindrome di Stoccolma: sintomi

Il morbo di Stoccolma si manifesta con comportamenti positivi e ben visibili nei confronti dell’aguzzino. Innanzitutto, la vittima di sequestro o di altri ‘tipi’ di violenza dimostra sentimenti ‘buoni’ come simpatia, empatia, affetto e talvolta innamoramento nei confronti dell’aggressore. In secondo luogo, rinuncia alla fuga anche avendone la possibilità. Generalmente, poi, rifiuta di collaborare con la polizia o con le autorità nei riguardi dei quali prova dei sentimenti avversi e non presta testimonianza contro il carnefice. Come se non bastasse, legittima e discolpa i comportamenti e l’operato del sequestratore e si sottomette a lui.

Solitamente, la sindrome del carceriere si manifesta in in personalità fragili, non ben strutturate e poco solide. E’ su di loro, infatti, che fa breccia il lavaggio di cervello che effettua l’aguzzino, dicendo che nessuno verrà a salvarle. Davanti a questa previsione nefasta si sviluppa, quindi, una specie di istinto di sopravvivenza che porta le persone a vedere in modo meno negativo il rapitore. Più i giorni di sequestro aumentano e maggiori saranno i sentimenti positivi che si svilupperanno. Pertanto, le vittime iniziano ad immedesimarsi, a giustificare e a cercare di comprendere le motivazioni che lo spingono alla violenza.

A liberazione avvenuta, le persone che sviluppano la sindrome di Stoccolma continuano a nutrire sentimenti positivi nei riguardi dell’aguzzino. Sviluppano disturbi del sonno, incubi ricorrenti, fobie, depressione e flashback in cui rivivono i fatti accaduti. Per quel che riguarda la cura di questa patologia, le vittime devono chiedere un aiuto psicologico, ma è soprattutto il supporto e l’affetto della rete familiare e sociale a fare la differenza. Sarà il tempo, infatti, a ristabilire la serenità di un tempo.