Cos’è la sindrome di Kawasaki (di cui si parla per il coronavirus)?

La sindrome di Kawasaki è una rara malattia che colpisce, generalmente, i neonati e i bambini di età inferiore a 8 anni. Ecco cosa si è scoperto in merito al coronavirus!

La sindrome di Kawasaki è una rara infiammazione dei vasi sanguigni, detta anche vasculite, che colpisce i bambini, principalmente quelli di età compresa tra gli 1 e gli 8 anni. Sebbene sia una malattia rara, con l’avvento del coronavirus Covid-19, si è notato, nell’area di Bergamo, fulcro dell’epidemia italiana, e anche nel Regno Unito, un aumento di casi anormale di questa sindrome sui bambini.

Come molte altre malattie pediatriche, questa sindrome si presenta inizialmente con dei sintomi specifici che possono anche prolungarsi nel tempo, in base alla gravità dell’infiammazione. Scopriamo più nel dettaglio se c’è una correlazione con il virus Sars-Cov-2, i sintomi, la cura e i danni che può causare.

Sindrome di Kawasaki e coronavirus: c’è un legame?

Come già accennato, a Bergamo e anche nel Regno Unito si è riscontrato un aumento del numero di casi di bambini affetti da questa sindrome, o più in generale da vasculite e infiammazione dei vasi sanguigni. Nei mesi di marzo e di aprile 2020, come riporta The Guardian, il National Health System britannico ha comunicato il ricovero di diversi bambini di tutte le età negli ospedali per questo tipo di infiammazione.

Fonte foto: https://pixabay.com/it/photos/bambino-ragazzo-lettura-libro-2598005/

Così come a Bergamo, dove si sono registrati un numero di casi anormale. Per dare una stima, nei due mesi in cui è scoppiata l’epidemia, i casi sono quelli che mediamente si registrano di diversi anni (stiamo comunque parlando di malattia rara, e in genere si sta su cifre molto piccole).

Per capire se c’è una correlazione, la comunità scientifica sta lavorando senza sosta, ma ancora non si è arrivati a una risposta certa, anche perché le cause di questa sindrome non sono note.

I sintomi della malattia di Kawasaki

Possiamo suddividere i sintomi in due fasi, in base alla gravità: i fenomeni che si presentano nella prima fase devono servire da campanello d’allarme per il pediatra che visiterà il bambino, per iniziare quanto prima la cura. Se invece l’infiammazione è già acuta, i sintomi possono peggiorare ed essere molto pericolosi per l’infermo. Scopriamo nel dettaglio quali sono.

Sintomi della prima fase:

Febbre alta. A differenza di una normale febbre influenzale, questa patologia temporanea può protrarsi per molto tempo ed essere resistente anche agli antibiotici.

Congiuntivite, anche senza le solite secrezioni.

Lingua gonfia e arrossata.

Lingua arrossata

Ingrossamento dei linfonodi del collo: l’infiammazione deve preoccupare se supera di diametro il centimetro e mezzo. Generalmente, comunque, sono palpabili al tatto e dolorosi per il malato.

Manifestazioni cutanee. Mani e piedi sono le parti maggiormente colpite dove possono verificarsi pustole o rossore. Anche il tronco può essere interessato da orticaria con visibili puntini rossi pruriginosi.

Sintomi della seconda fase:

Dolore addominale. Non deve necessariamente essere forte, ma può persistere per un lungo periodo.

Vomito e diarrea.

Dolori articolari prolungati.

La cura per il morbo di Kawasaki

Una volta riscontrata l’effettiva presenza di questa rara infiammazione, è importante portare immediatamente il bambino in ospedale affinché venga seguito da un’equipe medica.

La terapia per la malattia di Kawasaki prevede innanzitutto la somministrazione di aspirine per far scendere la febbre e per far diminuire il dolore, soprattutto quello articolare. Seguono poi delle flebo di immunoglobuline per ridurre il rischio di complicazioni cardiache.

Generalmente, comunque, la malattia ha una durata da 2 a 12 settimane e in rarissimi casi può protrarsi per un tempo superiore. Come già anticipato, è però importante riscontrare subito l’infezione per curarla senza causare danni.

La sindrome di Kawasaki: i danni

La sindrome di Kawasaki è una malattia da cui si guarisce tranquillamente purché vengano effettuate le corrette cure, in ospedale. Sulla base dei bambini che fino ad ora hanno contratto questa infiammazione, solo l’8% sviluppa delle complicazioni gravi e solo l’1% quelle fatali.

Le complicanze principali riguardano l’infiammazione cardiaca che, solo in rarissimi casi, può anche portare all’infarto, alla trombosi o alla creazione di aneurismi coronarici. Anche il figlio del noto attore John Travolta è stato affetto da questa sindrome prima di morire nel 2009 a causa di una brutta caduta.

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