Omicidio Willy Branchi: il massacro di Goro con una pistola da macello

Omicidio Willy Branchi: il massacro di Goro con una pistola da macello

Un muro di omertà ha coperto la verità sulla fine di Willy Branchi, 18enne ucciso a Goro nel 1988 con una dinamica bestiale. I colpevoli? Non ci sono…

Quello di Willy Branchi è un omicidio senza giustizia, dove mancano i responsabili e resta solo lo scempio. Un orrore compiuto con bestiale efferatezza, un cold case che dal 1988 non ha soluzione, sprofondato nelle sabbie mobili del silenzio. Eppure qualcuno sa ma non parla e, forse, non parlerà mai. Il 18enne Vilfrido Luciano venne ucciso sull’argine del Po con una pistola da macello. Un giallo insoluto, un brivido di sangue che percuote la memoria.

Chi era Willy Branchi?

Vilfrido Luciano Branchi, detto Willy, aveva appena 18 anni quando è stato ucciso. Massacrato senza pietà, con una pistola da macello, il corpo nudo abbandonato a pochi chilometri da Goro. Le indagini dell’epoca non hanno dissolto la nebbia intorno a quel maledetto 30 settembre 1988.

L’inchiesta si era arenata dopo l’archiviazione della posizione dell’unico indagato Valeriano Forzati, pluriomicida avvistato con la vittima qualche ora prima del dramma. Ma nel tessuto di testimoni mai sentiti dagli inquirenti, ci sarebbero elementi degni di attenzione e più di qualche possibilità per assicurare alla giustizia i responsabili della sua fine.

Fonte foto: https://www.facebook.com/luca.branchi.52

L’omicidio di Willy Branchi

Willy Branchi aveva soltanto 18 anni: un ragazzo come tanti che, secondo alcune testimonianze postume, sarebbe finito in una rete di abusi sessuali che avrebbe voluto denunciare. È questo, forse, il movente che ha portato al barbaro omicidio.

Il 30 settembre 1988, il giovane è stato brutalmente ucciso e lasciato senza vestiti lungo gli argini del Po. Pochi chilometri di distanza dalla sua vita di sempre, fatta di una fisiologica ingenuità e di timidezze. La sua morte è un nodo mai sciolto, quell’esecuzione spietata con una pistola da macello un preciso indizio di disumanità che non ha mai avuto un volto.

C’è una famiglia che chiede giustizia, e che nel 2014 è riuscita a far riaprire il caso. Sul corpo di Willy era stata isolata una traccia di Dna che potrebbe ‘parlare’, mentre le nuove indagini, disposte dal gip Carlo Negri, affondano l’occhio in un terreno irto di segreti e ostacoli.

Nel 2013, il fratello della vittima, Luca Branchi, ha scritto un appello pubblicato tra le colonne del Resto del Carlino. La sua è sempre stata una richiesta ferma e determinata verso la verità: “Chi sa parli“.

Nella cascata di segnalazioni, un filo conduttore che preserva l’ombra di una sola pista: a detta degli anonimi interlocutori, il 18enne sarebbe stato ucciso perché minacciava la cortina di silenzio intorno a un presunto rapporto omosessuale con un uomo ‘forte’ del posto.

La storia di Willy nel fango dell’omertà

La storia di Willy è diventata il simbolo di una battaglia contro l’omertà. Contro quel fango di silenzi che contamina certe menti, corrode i buoni propositi e seppellisce la verità. Lo spettro di festini a luci rosse con minori, a Goro, non è più andato via.

Quel viso innocente e pulito, sporco del sangue di una fine senza pietà, grida a tutti la sua sete di giustizia. Là, a Goro, dove il tempo di alcuni si è fermato a convivere con il dolore e dove i giorni di altri si sono tradotti in una fortezza inviolabile di segreti, quel corpo nudo aspetta il suo momento.

Quali mani hanno sferrato i pugni sul suo viso? Quale cuore nero lo ha finito come un animale? Intanto, è del 2019 la notizia di un fascicolo di indagine per calunnia aperto a carico di don Tiziano Bruscagin, parroco del paese per ben 32 anni, indagato perché, secondo la Procura, avrebbe accusato un’intera famiglia al fine di depistare.

Fonte foto: https://www.facebook.com/luca.branchi.52