Matrimonio putativo: il significato, a cosa serve ed esempi di un istituto giuridico che tutela il coniuge in buona fede.
La legge italiana mette a disposizione dei coniugi numerosi strumenti per mettere al riparo sia gli stessi individui che i figli dalla fine di un amore. Tra questi, anche il cosiddetto matrimonio putativo. Di cosa si tratta? Di un’unione che tra due persone che ha validità solo prima del suo annullamento. Una sentenza che non è retroattiva e che quindi non porta al ripristino delle condizioni patrimoniali e dei diritti precedenti. Ma a cosa serve e quando si verifica una situazione di questo tipo? Cerchiamo di approfondire il concetto giuridico di matrimonio putativo, chiarendo cosa prevede la legge e qual è la differenza rispetto all’annullamento delle nozze.
Matrimonio putativo: il significato
Quando si parla di matrimonio putativo, si fa riferimento a un istituto giuridico che ha lo scopo di proteggere il coniuge che si è sposato in buona fede, che è stato costretto da cause esterne e di tutelare i figli nati durante l’unione matrimoniale, prima dell’annullamento.
Secondo quanto stabilito dall’articolo 128 del Codice Civile, tale situazione si verifica in due circostanze:
– quando entrambi i coniugi hanno contratto il matrimonio in buona fede, e quindi senza conoscere le cause di nullità dello stesso;
– quando il consenso per le nozze è stato estorto a uno dei due coniugi attraverso violenza, sia fisica che morale, o attraverso il timore di subire conseguenze da cause esterne.
Per legge, dunque, si parla di matrimonio putativo solo quando il rito è non valido per svariati motivi, ma i due coniugi sono in buona fede. In questo caso l’annullamento non diventa retroattivo, ma valido solo dal giorno della sentenza in avanti.
Cosa succede invece quando solo uno dei due coniugi è all’oscuro delle cause di nullità mentre l’altro è, per così dire, in mala fede? In questo caso il legislatore può riconoscere allo sposo danneggiato un’indennità di mantenimento, per un massimo di tre anni, che deve essere garantito qualora il coniuge in questione si trovi in difficoltà di sostentamento. Se invece le responsabilità dell’annullamento sono da ascrivere non a uno dei due coniugi, ma a un soggetto terzo, sarà quest’ultimo a dover corrispondere l’indennità.
Qual è la differenza con l’annullamento?
Come abbiamo visto, il concetto di matrimonio putativo va dunque a contrapporsi, in un certo senso, all’annullamento di un matrimonio ai sensi di legge. Ma qual è l’effettiva differenza tra i due istituti giuridici? Per comprenderlo, vale la pena partire da alcuni elementi delle nozze garantiti dall’articolo 143 del Codice Civile. Secondo questo articolo, i coniugi sono tenuti all’obbligo reciproco di fedeltà, assistenza morale e materiale, collaborazione nell’interesse della famiglia e coabitazione.
Al mancare di uno di questi elementi il matrimonio può decadere. In questo caso, si può procedere con l’annullamento del vincolo, che ha carattere retroattivo. In altre parole, al contrario del matrimonio putativo, l’annullamento porta al ripristino delle condizioni preesistenti alle nozze, come se l’unione non fosse mai avvenuta (ad eccezione dei casi in cui dall’unione siano nati dei figli).
Una sentenza di questo tipo può essere emessa solo quando i due coniugi hanno contratto matrimonio in buona fede ma con irregolarità, quando solo uno dei due è in malafede, quando entrambi sono in malafede e quando il consenso è stato estorto con violenza e minacce.