La Giornata mondiale contro l’omofobia è l’occasione giusta per imparare a utilizzare le parole più giuste per un linguaggio inclusivo.
Si dice che la lingua ferisca più della spada. A volte può essere vero. L’utilizzo errato di determinate parole può essere offensivo, e in alcuni casi anche pericoloso. Il 17 maggio si celebra ovunque la Giornata mondiale contro l’omofobia. Un’occasione adatta per cominciare ad apprendere le regole migliori per un utilizzo consapevole di determinati termini. Nel mondo in cui viviamo, usare un linguaggio inclusivo non è più infatti un merito, ma dovrebbe diventare una consuetudine, per cercare evitare di ferire, consapevolmente o meno, le persone con cui abbiamo la possibilità di interfacciarci.
Perché un linguaggio inclusivo è importante
Riuscire ad adottare un linguaggio che sia inclusivo verso tutti, senza distinzioni di genere, razze, caratteristiche fisiche o abilità, è importante per far sì che anche le nuove generazioni imparino ad apprezzare la diversità come un valore, e non come un disvalore. Un utilizzo erroneo di determinati termini può rappresentare un rischio grave per la società, specialmente se fatto in presenza di bambini, spesso non in grado di comprendere il significato che si cela dietro la comunicazione di un adulto.
Spesso infatti capita ancora, in molti strati della nostra società, di utilizzare con leggerezza e normalità epiteti che vengono bollati come goliardia, ma che nascono da un retrogusto culturale evidentemente omofobo. Espressioni come “femminuccia” o “maschiaccio” hanno connotazioni negative di genere, si basano su stereotipi da molto tempo ormai superati, e possono risultare offensivi. Quello che una volta veniva liquidato come un linguaggio goliardico, oggi rischia di diventare lo strumento attraverso cui diffondere ancora, magari involontariamente, la percezione che essere gay sia sbagliato e che discriminare gli omosessuali sia corretto.
Un problema non da poco, anzi di grande rilevanza a livello mondiale e che non riguarda certo solo l’Italia. Basti pensare che una recente ricerca dell’Università di Cambridge ha dimostrato quanto poco si sia fatto a livello linguistico per affrontare l’omofobia all’interno delle scuole britanniche, un problema che resta endemico. Stando ai dati rilevati, addirittura il 96% dei giovani gay britannici si sentirebbero costantemente bersagliati da commenti omofobi. Insomma, apparentemente quella che ci si presenta è una montagna quasi impossibile da scalare. Eppure, basterebbero piccoli passi per poter cercare di migliorare la situazione. Ad esempio, apprendere quale sia l’uso corretto di determinati termini per rendere più inclusivo il proprio modo di parlare.
Giornata mondiale contro l’omofobia: i termini da apprendere
Per prima cosa, è necessario comprendere cosa si intenda oggi con la sigla LGBTQI+, acronimo che comprende lesbiche, gay, bisessuali, transgender-transessuali, queer e asessuali. A proposito di determinate categorie o etichette, è importante fare una distinzione. Se gli asessuali sono, ad esempio, le persone non attratte da alcun genere, e i bisessuali quelle attratte da entrambi i generi, gli intersessuali sono le persone con attributi sia maschili e femminili, mentre pansessuali è il termine indicato per l’attrazione di una persona verso altre di tutti i generi.
Crea ancora confusione, poi, il concetto di non binary, in riferimento alle persone non binarie. Si tratta semplicemente di un’espressione che racchiude al suo interno non solo le persone che non si identificano con alcun genere, ma che rifiutano in maniera netta la distinzione binaria creata, accettata e imposta nella società attuale. Un concetto che si ricollega al significato del termine queer, che un tempo indicava, con accezione denigratoria, gli uomini omosessuali, mentre oggi racchiude tutte le persone che non si identificano in specifiche categorie di genere o di orientamento sessuale.
Si tratta di pochi esempi, ma che riescono in qualche modo a far comprendere la portata del problema. Ancora oggi, nonostante i tempi siano evidentemente cambiati, regna infatti ancora sovrana una grande confusione tra coloro che si interessano poco, o si disinteressano, a delle tematiche che non riguardano solo determinate categorie di persone, ma la nostra intera società.
Coming out o outing? Facciamo chiarezza
Infine, è anche importante tenere presenze una distinzione che spesso viene sottovalutata, anche in ambito giornalistico o nel campo dei media, con una confusione che non aiuta certo a evitare le generalizzazioni. C’è infatti una differenza tra l’utilizzo dell’espressione coming out e quella di outing.
La prima indica precisamente il processo di scoperta e accettazione del proprio orientamento sessuale o della propria identità di genere da parte di un singolo individuo, che può decidere liberamente di confessare la propria scoperta a chiunque voglia. Con il termine outing ci si riferisce invece alla pratica, decisamente amorale, di rivelare pubblicamente l’orientamento sessuale di una persona senza che quest’ultima abbia dato il proprio consenso.