Forever Is Now: l’arte contemporanea arriva tra le Piramidi

Forever Is Now: l’arte contemporanea arriva tra le Piramidi

Dieci artisti di fama mondiale hanno dato vita alla prima mostra d’arte contemporanea presso le Piramidi: Forever Is Now.

Forever Is Now è l’ambizioso progetto con cui dieci artisti di fama mondiale si sono cimentati per dare vita alla prima mostra internazionale d’arte contemporanea che sia mai stata organizzata presso le Piramidi di Giza. La particolarità delle installazioni si basa sul fatto che le Piramidi non fanno semplicemente da sfondo, ma le opere d’arte contemporanea realizzate dagli artisti si fondono perfettamente con l’architettura egizia per dare vita a una mostra unica nel suo genere che sarà aperta al pubblico fino al 7 novembre 2021.

Le installazioni della mostra Forever Is Now

Le opere ospitate in quella che è la prima mostra in 4500 anni di storia sono state realizzate da 10 artisti provenienti da diverse parti del mondo. L’artista francese JR con la sua Greetings from Giza, un’installazione situata presso la Piramide di Chefren, ha voluto rappresentare una mano che sorregge una cartolina raffigurante proprio la Piramide alle sue spalle. Lorenzo Quinn, artista italiano e figlio dell’attore Anthony Quinn, ha dato vita a Together, una scultura in cui due mani si congiungono e per l’effetto della prospettiva sembrano toccare la punta delle piramidi.

E poi ancora l’artista americana Gisela Colón ha creato un’installazione luminosa e suggestiva che rappresenta un sole al tramonto vicino alla Sfinge e prende il nome di Eternity Now. Here have I returned è l’installazione creata dall’artista Sherin Guirguis di Los Angeles e la sua forma richiama il sistro. uno degli strumenti musicali utilizzati nell’Antico Egitto. Claudia Moseley ed Edward Shuster hanno realizzato un’opera dal titolo (Plan of the Path of Light) In the House of the Hidden Places per sottolineare il connubio tra l’antichità e le tecnologie attuali e future. L’artista russo Alexander Ponomarev ha creato Ouroboros, un’installazione con cui ha voluto rappresentare l’uroboro, il simbolo del serpente che si mangia la coda formando così un ciclo senza inizio né fine.