Secondo Dagospia Fabrizio Corona avrebbe come compagno di cella Giovanni Cottone, l’ex marito della Marini: “ben distanti dagli orrori del sesto raggio”
“Di tempo per parlare ne avranno tanto, Fabrizio Corona e i suoi due compagni di cella, la numero 109, nel terzo raggio di San Vittore, il luogo dove stanno i colletti bianchi del carcere milanese, ben distante dagli orrori del sesto raggio. Qui c’è la cella viene chiamata “camera”, c’è la doccia, c’è il cucinino. C’è addirittura l’accesso alla palestra, che pare Fabrizio Corona stia usando già in modo intensivo. E poi sono in tre in cella, e non in otto“, inizia così il pezzo di Berto Evitandolo e Alberto Dandolo per Dagospia sull’ex re dei paparazzi.
Gli altri detenuti, invece, vivrebbero in condizioni ben diverse
Per gli altri detenuti, invece, continua Dagospia, le docce sono comuni, e in cella c’è solo un lavandino, mentre Fabrizio Corona avrebbe addirittura la televisione.
Sembra anche che l’ex re dei paparazzi abbia già fatto amicizia con molti carcerati, che lo avrebbero anche già “invitato a cena”.
“Dagospia può rivelare che uno delle due persone con cui Fabrizio divide il letto (a castello) è… l’ex marito di Valeria Marini: Giovanni Cottone. Palermitano classe 1957, sposa Valeriona il 5 maggio 2013. Ma prima e dopo, di storie ne conosce a bizzeffe, il buon Cottone”, rivela il sito di gossip.
A Mattino 5, poi, don Antonio Mazzi ha detto la sua:
“Nei quattro mesi, in cui è stato nella mia comunità, si è comportato come tutti gli altri. Non ho dovuto fare nessuna fatica. I problemi di Corona, come tanti altri, non si possono risolvere in galera. Va curato. Con l’aiuto di uno psichiatra, avremo tirato fuori un Corona diverso. Quello che va in tv, che ostenta sicurezza che non tornerà più in carcere, fa ridere anche i pali del telefono.
Io l’ho seguito tanto tempo in cella. Si può rieducare delle persone in maniera più umana, positiva, civile. Fuori dal carcere. Lui è entrato subito nel clima della comunità, si alzava, faceva un’ora di educazione fisica. Lavorava cinque ore, puliva i cessi, ha fatto il suo dibattito e la riflessione. Pensavo che potessimo lavorare di più. Ci vuole pazienza perché sono ragazzi che devono ricostruire la propria identità”.