Desidero sfoggiare un capo d’abbigliamento elegante ed esclusivo in un’occasione speciale, cosa faccio? Lo compro online, lo utilizzo e poi lo restituisco ottenendo il rimborso!
No, non stiamo parlando della buffa scena di un film, o della folle proposta di un amico spesso un po’ fuori dalle righe, ma di un vero e proprio fenomeno che ha raggiunto livelli di diffusione tali da costringere diversi e-commerce a prendere le dovute contromisure.
Per meglio comprendere come mai il wardrobing, così è chiamato questo comportamento decisamente poco etico, riesca ad essere compiuto così facilmente, facciamo il punto su alcuni aspetti.
Perché l’e-commerce Fashion prevede condizioni di reso particolarmente agevoli
Il commercio elettronico di abbigliamento è sicuramente “sui generis”: la maggioranza dei consumatori, affinché possa avere piena contezza della propria scelta, sente l’esigenza di provare gli articoli d’interesse, dunque vedere come calzano o, più semplicemente, che effetto offrono una volta indossati.
Alla luce di questo, è inevitabile che questo tipo di prodotti siano maggiormente esposti all’eventualità di essere restituiti, e svariate statistiche lo confermano in maniera inequivocabile: i capi d’abbigliamento sono, tra i prodotti acquistati online, i più restituiti al mondo.
Gli e-commerce d’abbigliamento, dal canto loro, sono ben consapevoli di quest’esigenza dei consumatori, di conseguenza si attrezzano per gestire dei volumi di reso certamente superiori rispetto a quelli di e-commerce di altri settori, e questo, chiaramente, comporta dei maggiori costi.
Per il consumatore, effettuare un reso non è soltanto molto semplice, bastano infatti pochi semplici click, ma spesso è anche completamente gratuito: se si da un’occhiata ai più importanti negozi d’abbigliamento online, come www.needstore.it, si nota subito come il reso possa essere effettuato senza costi.
Wardrobing: i risvolti negativi per le aziende, e non solo
Se da un lato, dunque, gli e-commerce assicurano le condizioni più agevoli possibili ai propri clienti per poter essere attrattivi, dall’altro si espongono inevitabilmente a chi non si fa scrupoli nel compiere azioni poco etiche, se non grottesche.
Il wardrobing è oggi un fenomeno assai diffuso: è davvero difficile avere dei dati certi a riguardo, quel che è indubbio è che molte aziende hanno rilevato degli incrementi anomali dei volumi di reso, o comunque dei comportamenti decisamente sospetti da parte di alcuni acquirenti, anche in relazione al tipo di articoli richiesti.
Chiaramente, il fenomeno del wardrobing ha dei risvolti negativi importanti: non solo le aziende sostengono dei costi che non hanno alcun impatto positivo sul business, ma anche l’ambiente ne risente, per via di tutte le movimentazioni di merce che vengono inutilmente effettuate.
Ma gli e-commerce hanno modo di contrastare efficacemente il wardrobing, senza dover rivedere drasticamente le proprie politiche di reso?
Bilanciare il desiderio di agevolare il più possibile i propri clienti e, al contempo, mettersi al riparo da comportamenti poco etici è effettivamente complicato, vediamo tuttavia cosa hanno fatto, e cosa stanno facendo oggi, i principali e-commerce del settore.
Le azioni intraprese dagli e-commerce per contrastare il fenomeno
Alcune aziende hanno scelto di attuare delle campagne di comunicazione volte a dissuadere, appunto, dal compimento di queste azioni; una delle più particolari e simpatiche è stata senz’altro quella di Diesel, che presentò una nuova collezione in uno spot che vedeva protagonisti dei giovani che indossavano capi con l’etichetta ancora apposta.
Lo slogan di quella campagna fu inequivocabile: “Enjoy before returning”, ovvero “Godetevi il capo, prima di restituirlo”!
È difficile, purtroppo, che campagne come questa siano sufficienti per placare le intenzioni di chi è disonesto, di conseguenza diversi e-commerce hanno intrapreso strade più concrete.
In molte occasioni, ad esempio, vengono apposte delle etichette vistose in punti “strategici” dell’indumento, così che indossarlo con la relativa etichetta divenga problematico.
In alcuni casi sono state previste delle soluzioni ancora più “strong”: piuttosto che la classica etichetta cartacea, infatti, si è fatto ricorso a delle vere e proprie mollette rigide, che vanno staccate con una procedura scrupolosa e che, soprattutto, non possono in nessun modo essere riattaccate.
Altri e-commerce hanno pensato, semplicemente, di rendere meno morbide le proprie politiche di reso, ad esempio escludendo la possibilità di compiere un reso gratuito per determinati capi, oppure prevedendo dei costi a carico del consumatore per ogni restituzione.
Non mancano neppure delle aziende che hanno scelto di far ricorso al mondo del Data Analysis per operare delle scelte mirate senza penalizzare i consumatori onesti: grazie all’elaborazione di apposite statistiche e alla rilevazione di casi “sospetti”, la possibilità di effettuare dei resi gratuiti viene preclusa solo a determinati utenti.