Covid 2023, impennata di positivi per Natale: quali sono i sintomi e come comportarsi

Covid 2023, impennata di positivi per Natale: quali sono i sintomi e come comportarsi

Covid 2023, prevista un’impennata di positivi per Natale: vediamo quali sono i sintomi e come comportarsi in caso di positività.

Alle porte del Natale 2023, il Covid-19 torna a farsi sentire in modo piuttosto importante. Da tempo non si assisteva ad una simile impennata di casi, per cui vale la pena vedere quali sono i sintomi e come comportarsi in caso di tampone positivo.

Covid 2023, impennata di positivi per Natale: quali sono i sintomi?

Gli esperti non hanno alcun dubbio: a Natale 2023 si registrerà il picco del Covid-19. Gli ospedali sono già tornati a riempirsi come non accadeva da tempo, ma fortunatamente la situazione è sotto controllo. La nuova variante del Coronavirus è molto virulenta, sia chiaro, ma è meno grave rispetto al passato. Giovanni Di Perri, virologo e responsabile del Reparto Malattie Infettive dell’Amedeo di Savoia di Torino, raggiunto da La Stampa, ha dato qualche consiglio per le festività.

Innanzitutto, ha sottolineato che in presenza di sintomi – febbre alta, naso che cola, raffreddore e tosse – è bene fare un tampone. Che sia antigenico o molecolare poco importa, conta soltanto accertare la malattia. Laddove ciò non sia possibile, è consigliato l’utilizzo della mascherina Ffp2 se si entra in contatto con persone fragili.

Covid 2023: a chi è consigliato il vaccino?

Considerando che a Natale i contatti sono maggiori, gli esperti consigliano di mettere al riparo dal Covid soprattutto le persone fragili. Parliamo di over 65 che hanno patologie di un certo tipo, come diabete, ipertensione, cancro o problemi respiratori cronici, e di immunodepressi. Pertanto, prima di pranzi o cene il loro compagnia è preferibile fare un tampone.

Per quanto riguarda il vaccino, è indicato soprattutto per gli ultrasessantacinquenni e i soggetti fragili. Una sola raccomandazione: devono evitarlo quanti hanno contratto il Covid negli ultimi sei mesi. In casi come questi, infatti, la malattia vale come una vaccinazione.