Corona di Sant’Edoardo: la storia del gioiello che Re Carlo III indosserà per l’incoronazione

Corona di Sant’Edoardo: la storia del gioiello che Re Carlo III indosserà per l’incoronazione

Re Carlo III ha scelto di farsi incoronare con la Corona di Sant’Edoardo: ecco la storia del gioiello più prezioso della collezione reale.

Così come fatto da sua madre Elisabetta II nel lontano 1953, anche Re Carlo III ha deciso di farsi incoronare con la Corona di Sant’Edoardo. La storia di questo gioiello, il più prezioso di tutta la collezione reale, affonda le radici nel 1661, ma il suo utilizzo è ‘recente’: il primo sovrano ad indossarlo è stato Re Giorgio V nel 1911.

La storia della corona di Re Carlo: la Corona di Sant’Edoardo

Dopo la morte della Regina Elisabetta, Carlo si prepara a diventare Re d’Inghilterra. Come vuole la tradizione, il sovrano sarà incoronato con la Corona di Sant’Edoardo che, fino allo scorso dicembre, era conservata presso la Jewel House della torre di Londra. Il gioiello è stato prelevato per le modifiche necessarie affinché Carlo possa indossarlo. E’ bene sottolineare che, durante la cerimonia il re indosserà due corone diverse: quella dello Stato Imperiale prima e quella di St Edward nel momento più importante. E’ quest’ultima, infatti, ad essere considerata l’emblema ufficiale del potere monarchico.

La Corona di Sant’Edoardo affonda le sue origini nel lontano 1661, quando venne realizzata dal gioielliere reale Sir Robert Vyner per Carlo II. Il gioiello precedente, che risaliva ai tempi di Re Edoardo il Confessore (1002/1003-1066), venne fuso nel 1649, dopo la decapitazione di Re Carlo I. Alta ben 30 centimetri e con un peso di 2,23 chili, la corona è composta da una base con quattro gigli che si alternano a quattro croci, sopra le quali gli archi reggono un globo con una grande croce. All’interno del prezioso c’è un berretto in velluto bordato di ermellino. E’ realizzata in oro 22 carati, con 444 pietre dure: 345 berilli acquamarina, 37 topazi bianchi, 27 tormaline, 12 rubini, 7 ametiste, 6 zaffiri, 2 zirconi, 1 granato, uno spinello e un almandino.

Il primo re ad utilizzare la Corona di Sant’Edoardo, a distanza di duecento anni dalla sua realizzazione, è stato Giorgio V nel 1911. Successivamente hanno scelto di indossarla anche Giorgio VI nel 1937 ed Elisabetta II nel 1953. A distanza di 67 anni dall’ultimo uso, Carlo III ha scelto di seguire le orme di quanti l’hanno preceduto.

Corona Re Carlo III: India e Sudafrica rivogliono i due diamanti

La St. Edward’s Crown non è soltanto il simbolo della Royal Family, ma anche il pezzo più caro di tutti i Gioielli della Corona. Il suo valore è considerato inestimabile, non soltanto da un punto di vista storico. Inoltre, da anni è in corso una diatriba tra India e Sudafrica che chiedono indietro due diamanti della collezione di altissimo valore: Koh-i-Noor, incastonato nella corona, e la Grande Stella d’Africa, oggi sullo scettro reale. I richiedenti sostengono che le due pietre preziose siano state rubate dagli inglesi durante il periodo coloniale. Ovviamente, Londra si difende sostenendo che la restituzione è infondata e impossibile.

Stando a quanto dichiarano i documenti, il Koh-i-Noor – che in persiano significa montagna di luce – è arrivata in territorio inglese nel 1849, dopo la conquista del Punjab. All’epoca, sul trono c’era la Regina Vittoria che qualche anno dopo, precisamente nel 1853, ordinò di incastonarlo nella tiara. Nel 1937, infine, venne spostato sulla croce maltese della corona che Elizabeth Bowes Lyon, madre di Elisabetta II, indossò per l’incoronazione di Giorgio VI. Ad oggi, il diamante si trova ancora in questo posto.

La Grande Stella d’Africa, noto anche come diamante Cullican, venne regalato a Re Edoardo VII per il suo 66esimo compleanno. Il sovrano decise di far tagliare la pietra, in modo da ricavarne 9 gemme principali e 96 più piccole. Il diamante più grande è incastonato nello scettro di Sant’Edoardo, ma volendo può essere rimosso e indossato come collana. E’ proprio questo l’altro diamante ad essere al centro della polemica.