Jean-Paul Belmondo è stato uno degli attori sex symbol del cinema francese. Andiamo a vedere chi era, dai successi in carriera al privato.
Il brutto più affascinante del cinema francese. Così lo definì la stampa mondiale, per via dei lineamenti particolarmente accentuati, che si fondevano, in un cocktail irresistibile, a un carisma innato. Grazie a uno stile scanzonato e brillante, che lo ha contraddistinto in parecchie pellicole, Jean-Paul Belmondo ha lascato un’impronta indelebile nel cinema francese e planetario. Spesso scritturato come il giovante aitante e spericolato, o il duro dal cuore tenero, ha, infine, svariato magistralmente tra differenti ruoli. Non tradì le attese neppure nel momento in cui decise di prendere parte ai film drammatici.
Inoltre, sebbene capitasse di rado, sapeva vestire con eccezionale bravura i panni dell’antagonista o del ‘protagonista ambiguo’. Considerato unanimemente un sex symbol, al pari del connazionale Alain Delon, aveva lasciato le scene per un brutto male, salvo poi concedersi l’ultima apparizione davanti alla macchina da presa nel 2008. Il modo migliore per congedarsi dal suo fedele pubblico, che lo ha sempre seguito e sostenuto durante le varie tappe di una carriera da divo assoluto.
Jean-Paul Belmondo: la biografia
Jean-Paul Belmondo nacque a Neuilly-sur-Seine il 9 aprile 1933, sotto il segno dell’Ariete. Entrambi i genitori erano artisti: il padre, Paul Belmondo, nato nell’allora Algeria francese da genitori italiani (madre siciliana e padre piemontese), fu uno scultore; la madre, Sarah Rainaud-Richard, seguì, invece, il percorso di pittrice. Frutto della loro storia d’amore, sbocciata mentre frequentavano la Scuola Nazionale di Belle Arti, furono i tre figli: Jean-Paul era il secondo.
Nei primi anni visse a Villa Saint-Jacques, poi, nel 1938, si trasferì in 4 Rue Victor-Considerant, poiché il papà aveva la bottega in ex scuderie al 77 di Avenue Denfert-Rochereau. Da giovane passò parecchio tempo nello stesso bilocale. La famiglia non sguazzava nell’oro e fu costretta ad alcune privazioni. Questo perché il padre ebbe difficoltà a guadagnarsi da vivere con la sua arte allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale e con l’occupazione dell’esercito tedesco.
Il rapporto di Jean-Paul Belmondo con la scuola non fu sereno, anzi. Iscritto presso i centri d’élite della borghesia parigina, si mise spesso nei guai per via di un carattere turbolento e indisciplinato. Giovanissimo, scoprì il piacere dello sport, del ciclismo, del calcio, infine del pugilato, che avrebbe praticato a lungo da dilettante, e brevemente da professionista nel corso dell’adolescenza. Nel 1948 ammirò Le intellettuali, in una inedita rappresentazione; dopodiché, 16enne, una volta diagnosticatagli l’infezione da tubercolosi primaria, i genitori lo spedirono in Alvernia, ad Allanche. Ed è qui che, in una clima mite e rigenerante, decise di diventare attore.
Di ritorno dall’Alvernia, nonostante il parere sfavorevole del membro della Comédie-Françase André Brunot, seguì le lezioni di Raymond Girard e mosse i primi passi a teatro scritturato in La Belle au Bois Dormant negli ospedali della città di Parigi. Per sei mesi, Raymond Girard lo aiutò a prepararsi in vista delle selezioni per il Conservatorio Nazionale d’Arte Drammatica, invano. Andato a vuoto pure il secondo tentativo di ingresso, al terzo venne finalmente accettato.
Gli insegnanti non credevano ugualmente nelle sue potenzialità e tendevano a snobbarlo. Nel 1956, al saggio finale, performò in una scena del brano Amour et Piano di Georges Feydeau: il pubblico gli tributò scroscianti applausi. Ma ciò non bastò per convincere la giuria, presieduta da Marcel Achard, a introdurlo nella Comédie-Française.
Portato a termine il percorso formativo, Jean-Paul Belmongo intraprese l’apprendistato in teatro, dove recitò in autentici classici quali L’avaro di Molière e, successivamente, Cyrano de Bergerac di Rostand. L’esordio cinematografico accadde nel 1956, con il corto Molière di Norbert Tildian.
Malgrado avesse già contribuito al successo di pellicole di un certo spessore – tra cui A doppia mandata (1959) e La ciociara (1960) di Vittorio De Sica – seppe consacrarsi definitivamente come uno dei migliori esponenti del firmamento frances -, secondo sia il pubblico che la critica – mediante Fino all’ultimo respiro (1960) di Jean-Luc Godard, colui che lo aveva dapprima guidato nel corto Charlotte et son Jules.
A questo punto, lo contattò Claude Sautet per sottoporgli una proposta: recitare accanto a Lino Ventura nel noir Asfalto che scotta (1960). Il responso degli esperti fu davvero positivo e Belmondo brillò di luce propria. Con l’incarnazione seria e malinconica di Eric Stark, dimostrò talento da vendere e intensità drammatica. Seguirono le eccellenti prove in lungometraggi dal positivo riscontro, come Léon Morin, prete (1961) e Lo spione (1962), ambedue firmati dall’indiscusso maestro del noir transalpino Jean-Pierre Melville, fra l’altro apparso in un cameo ne Fino all’ultimo respiro, sotto le sembianze dello scrittore Parvulesco.
Nel 1963 il cineasta Renato Castellani reclutò Belmondo per il suo Mare matto: in tale circostanza, prestò il volto a un marinaio livornese, che, innamorato di una pensionante (impersonata da Gina Lollobrigida) che poi, sotto la supervisione dell’ammiraglio (Odoardo Spadaro), si imbarcherà per trasportare un carico di vino. L’opera, tagliata in maniera consistente dal produttore Franco Cristaldi, verrà riscoperta da diversi critici. Si tratta di un fulgido esempio di commedia all’italiana, con risvolti malinconici, che presenta uno spaccato veritiero dell’Italia degli anni Sessanta. Intanto, Jean Paul-Belmondo affiancò Stefania Sandrelli ne Lo sciacallo.
Riconosciuto ormai come uno dei divi più popolari del cinema francese, con L’uomo di Rio (1964) di Philippe de Broca, optò per un filone maggiormente commerciale, comunque sempre apprezzato dagli spettatori. Difatti, nel 1970, al fianco di Alain Delon, riscosse un enorme successo internazionale con Borsalino. Nelle opere d’autore rifece capolino con Stavinsky il grande truffatore (1974) di Alain Resnais, ma senza replicare i fasti del passato. In quel decennio si specializzò nel genere poliziesco, sottoponendosi di frequente a scene pericolose prive di controfigura, intervallando la sua produzione con i drammatici.
Il quinquennio 1978-1983 decretò l’apice commerciale. Ogni titolo che lo vedeva coinvolto registrava numeri incredibili al botteghino. Agli ordini di Georges Lautner, apparve in Poliziotto o canaglia, Il piccione di Piazza S. Marco e Joss il professionista. Nel 1982 con L’asso degli assi di Gérard Oury trionfò nonostante i rapporti con la critica fossero logori, a tal punto da non mostrare un’anteprima. Quindi, Professore: poliziotto (1983) di Jacques Deray diede continuità alla fase d’oro. Tuttavia, le prime crepe emersero a seguito della pubblicazione de L’oro dei legionari di Henry Verneuil. I film persero quel tocco che fin lì vi era riconosciuto, bollati per la loro natura ripetitiva.
Ciò venne a galla soprattutto nei manifesti, in cui Jean-Paul Belmondo veniva ritratto nella posa del vigilante o del “super-poliziotto”, imperturbabile. Conscio delle opinioni negative, Belmondo stabilì di cambiare immagine rituffandosi nella commedia, in Irresistibile bugiardo di Georges Lautner, tratto da una pièce di Jean Poiret. Oltre al desiderio di rilanciare le rispettive quotazioni sul grande schermo, Belmondo espresse pure l’intenzione di ricalcare il palcoscenico. Nel 1985 girò Hold-up, una commedia poliziesca di Alexandre Arcady. Sul set, mentre effettuava un’acrobazia, riportò una grave ferita, non volendo avere uno stuntman: all’età di 52 anni, l’era degli action movie sembrava essere finita per lui.
Nel 1987, Tenero e violento, poliziesco diretto da Jacques Deray, fu un flop commerciale, almeno in confronto agli standard a cui aveva abituato. In seguito, Belmondo avrebbe imputato la colpa ai toni troppo thriller. Intanto, Robert Hossein gli schiuse le porte per un ritorno in teatro. Belmondo accettò e, a quasi trent’anni dall’allontanamento, lavorò per due anni quasi ininterrotti in Kean – Genio e sregolatezza di Jean-Paul Sartre dopo Alexandre Dumas, al Théâtre Marigny. Si dichiarerà contento di aver riscoperto la sua vocazione originaria.
Claude Lelouch gli offrì il ruolo di protagonista in Una vita non basta. Felice dell’opportunità presentatagli, ben distante dal tipico personaggio rappresentato, deliziò gli ammiratori della settima arte. La sua prestazione gli valse il Premio César come miglior attore. Lasciò i set cinematografici per parecchi anni e strinse un sodalizio insieme a Robert Hossein per lo spettacolo Cyrano de Bergerac di Edmond Rostand. Inaugurata nel febbraio 1989, l’opera teatrale fu alquanto apprezzata – attirando più di 200 mila spettatori – e nel 1991 ebbe una tournée internazionale, spingendosi fino in Giappone.
Riprese gli impegni davanti alle telecamere nel 1992, per L’inconnu dans la maison di Georges Lautner. Dopodiché, trascorse un triennio prima di girare I miserabili di Claude Lelouch, libero adattamento del romanzo di Victor Hugo ambientato nel Novecento. I due film non sfondarono e nemmeno il tentativo di Patrice Leconte di riproporre, sull’onda dell’effetto nostalgia, la coppia composta da Jean-Paul Belmondo e Alain Delon in Uno dei due (1998) ebbe particolare fortuna. Le soddisfazioni arrivarono perlopiù dal teatro, con ruoli principali in imponenti produzioni come Sarto per signora e La pulce nell’orecchio.
Dal 2000, Jean-Paul Belmondo smise di salire sul palco. Nelle sale apparve in Actors, di Bertrand Blier. In tv, a più di quarant’anni di distanza dall’ultima volta, ricomparì in tv nel lungometraggio L’Aîné des Ferchaux. L’8 agosto 2001, mentre era in vacanza in Corsica con l’amico Guy Bedos a Lumio, vicino a Calvi, subì un ictus. Trasportato d’urgenza in ospedale, venne provvidenzialmente salvato dall’équipe di medici.
Nell’aprile del 2007, fu nominato Comandante della Legion d’Onore. Nel 2008, dopo sette anni di buio, ricalcò i set cinematografici per la realizzazione, sotto la regia di Francis Hustler, di Un uomo e il suo cane, remake di Umberto D. di Vittorio De Sica. Il 18 maggio 2011 ricevette la Palma d’oro alla Carriera in occasione della 64esima edizione del Festival di Cannes. Nel 2016, assieme al regista polacco Jerzy Skolimowski, gli venne attribuito il Leone d’oro alla carriera alla Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia. Il 14 luglio 2019 fu elevato al rango di Grande Ufficiale della Legion d’Onore. Il 6 settembre 2021 si è spento nella sua casa parigina all’età di 88 anni.
Jean-Paul Belmondo: la vita privata
Il 4 dicembre 1952 sposò la ballerina Élodie Constantin, dalla quale ebbe tre figli: Patricia (1958), deceduta nel 1994 in un incendio, Florence (1960) e Paul Alexander (1963), prima pilota automobilistico e poi proprietario di una scuderia che gareggia nella 24 Ore di Le Mans. In seguito al divorzio dalla Constantin, ebbe una relazione con la collega Ursula Andress che andò avanti fino al 1972.
Nello stesso anno, e fino al 1980, fu sentimentalmente legato all’attrice italiana Laura Antonelli. A coronamento di una convivenza proseguita per 13 anni, il 29 dicembre 2002 sposò a Parigi in seconde nozze Natty Tardivel: sei anni dopo giunse il divorzio. Dalla storia ebbe, il 13 agosto 2003, la sua quartogenita, Stella. Secondo quanto riporta il portale Idol Net Worth, ha accumulato un patrimonio pari a circa 65 milioni di dollari.
10 curiosità su Jean-Paul Belmondo
– Uno dei maestri al conservatorio disse un giorno su di lui: “con la faccia che ha, non potrebbe mai prendere in braccio una donna, perché non sarebbe credibile”. Pertanto, lo vedeva costretto a una carriera spesa tra ruoli secondari.
– Ha istituito il Premio Paul Belmondo per premiare uno scultore contemporaneo per la qualità del suo lavoro.
– Disertò Cannes nell’edizione in cui ottenne il Premio César per Una vita non basta come miglior attore. Al momento della nomina preannunciò di non essere interessato al titolo, ciononostante l’Accademia scelse di conferirglielo. Belmondo non lo ritirò mai, un gesto per ricordare la domanda respinta di accesso alla Comédie Française in apertura di carriera, e ricordare che è il pubblico l’unica giuria con il potere di assegnarli riconoscimenti. Oltretutto, non perdonò mai lo scultore-compressore César, che diede il nome al premio, di aver fortemente criticato le opere del padre Paul.
– Il magazine Empire lo inserì nel 1995 nella lista delle 100 star più sexy della storia del cinema.
– Nel periodo del liceo giocava a calcio, occupando il ruolo del portiere.
– Jackie Chan lo ha indicato, insieme a Buster Keaton, come la sua più grande ispirazione.
– Diverse icone d’azione nei fumetti, da Cobra a Blueberry, sono ispirate alla sua figura.
– È stato tifoso e socio del Paris Saint-Germain. Inoltre, ha avuto un ruolo nella fondazione della squadra al fianco di Francis Borelli e Daniel Hecht: non rimase a lungo per via dell’incompatibilità con gli altri impegni.
– Appese i guantoni al chiodo perché “non mi piaceva troppo prendere colpi perché faceva male”.
– Fu il primo divo a farsi vedere al Roland Garros di tennis. “Ma lo facevo perché mi piacevano le ragazze”, raccontava scherzando.