Chi era Simonetta Cesaroni: il caso di Via Poma

Chi era Simonetta Cesaroni: il caso di Via Poma

Roma, 7 agosto 1990. Strade vuote nell’estate dei Mondiali di calcio. Invece no, niente come prima: Simonetta Cesaroni viene trovata cadavere in un appartamento di via Poma.

Il nome di Simonetta Cesaroni è impresso su una delle pagine più atroci della cronaca italiana, in una via Poma ancora intrisa del profumo acre di un giallo senza fine. Chi era la ragazza uccisa nel cuore di Roma, il 7 agosto 1990? I suoi genitori non si sono mai arresi al limbo di un cold case che continua a trainare sospetti e interrogativi, inquietante bagaglio di una storia dai riflessi sinistri e mai del tutto emersi. Il delitto ha ispirato una serie tv, annunciata nell’estate del 2023.

Chi era Simonetta Cesaroni e dove viveva?

Simonetta Cesaroni è nata il 5 novembre 1969, sotto il segno dello Scorpione, e viveva a Roma insieme al padre Claudio, alla madre Anna e alla sorella maggiore Paola. Lavorava come segretaria alla Reli Sas, studio commerciale che, tra i clienti, aveva la A.I.A.G., Associazione Italiana Alberghi della Gioventù in cui, dal gennaio 1990, lavorava saltuariamente come contabile.

Gli uffici insistevano in uno stabile di via Poma, al civico numero 2, centro di gravità di un giallo che, di lì a poco tempo, sarebbe diventato uno dei più intricati della cronaca nera.

Simonetta Cesaroni: il delitto di via Poma

Il nome di Simonetta Cesaroni è legato a una delle pagine più drammatiche della cronaca, a un giallo che affonda le radici nella calda estate romana del 1990. Era il 7 agosto quando, in una Capitale praticamente deserta, Simonetta Cesaroni è stata uccisa, massacrata all’età di 21 anni con 29 coltellate.

Scena del crimine quell’ufficio di via Poma in cui, secondo quanto emerso, sarebbe arrivata nel primo pomeriggio per sbrigare alcune pratiche. L’allarme è scattato di sera, quando la famiglia, non vedendola tornare, ha deciso di capire dove fosse.

Il cadavere di Simonetta Cesaroni scoperto dalla sorella Paola

A scoprire il cadavere di Simonetta Cesaroni è stata la sorella, Paola, recatasi in via Poma insieme al proprio fidanzato per cercarla. Con loro il datore di lavoro della 21enne, Salvatore Volponi.

Nessun segno di colluttazione nella stanza di quell’ufficio in cui avrebbe dovuto trascorrere poche ore prima di tornare alla sua vita fuori, a quelle ferie che sarebbero iniziate il giorno seguente. Nessuna precisa traccia a ricalcare l’identità dell’assassino.

29 colpi di tagliacarte, sangue e orrore davanti a quelle ferite profonde, alcune dirette al cuore, alla giugulare e alla carotide, a carico della testa, un trauma importante. Un’immagine agghiacciante che chiede ancora giustizia. Il corpo è stato rinvenuto sul pavimento, supino, privo di alcuni indumenti che non sarebbero stati mai più recuperati.

I suoi fuseaux, la giacca e gli slip sarebbero stati portati via con altri effetti personali della vittima. Tra questi, gli orecchini, un anello, un bracciale e un girocollo. Simonetta Cesaroni è stata lasciata praticamente nuda, il reggiseno allacciato ma calato a lasciare il seno scoperto. Le scarpe adagiate vicino alla porta, ordinatamente. Nessuna violenza sessuale.

Simonetta Cesaroni: l’autopsia

L’autopsia ha stabilito la presenza di un segno sul seno, compatibile con un morso umano. Una “traccia” finita dritta a processo nell’ambito dell’inchiesta a carico dell’allora fidanzato della ragazza, Raniero Busco, su cui si sono addensati i sospetti: a tenerlo in testa alle piste degli inquirenti, la presenza del suo Dna sul reggiseno della vittima e i presunti attriti di coppia precedenti al tragico epilogo.

Simonetta Cesaroni, secondo la ricostruzione emersa all’esito delle perizie, avrebbe lottato per difendersi dalla furia del suo assassino. A neutralizzarne la resistenza sarebbe stato un colpo violento al capo, che ne avrebbe provocato la caduta prima dell’efferata aggressione consumata quando era già a terra. È così che, in quei pochi metri quadri della Roma anni ’90, si è materializzato un incubo di sangue che scuote ancora l’Italia.

Delitto di via Poma: il processo a Raniero Busco

Sono diverse le ipotesi innestatesi nell’ambito del lavoro investigativo sul caso Cesaroni. Tutte ricche di sfumature capaci di aggredire le cronache con un bagaglio di interrogativi e incertezze, ma tutte, infine, inghiottite dalle sabbie mobili di un cold case che resta tuttora irrisolto. Una di queste, sfociata poi in sede processuale, è stata formulata a carico dell’allora fidanzato.

Il rinvio a giudizio per Raniero Busco è scattato nel 2009. Il processo a suo carico si è aperto il 3 febbraio 2010, 19 anni dopo il delitto. L’uomo è finito alla sbarra con l’accusa di omicidio volontario, indiziato numero uno nello spettro di un iter giudiziario costellato di attenzioni.

Nel gennaio 2011, la terza Corte d’Assise di Roma lo ha condannato a 24 anni di reclusione per la morte della segretaria romana. Nel novembre dello stesso anno si è aperto il secondo grado, appello conclusosi nell’aprile 2012 con un esito a lui favorevole: assoluzione con formula piena per non aver commesso il fatto. Stesso risultato a cui, nel febbraio 2014, è giunta la Cassazione: nessuna condanna per Busco, assolto in via definitiva dall’accusa di aver ucciso la 21enne.

Le altre ipotesi: Pietrino Vanacore e Federico Valle

L’occhio delle indagini si è posato inizialmente su Pietro Vanacore, noto Pietrino, portiere dello stabile di via Poma, nel cuore del quartiere Prati, inchiodato alla cornice di atroci sospetti dopo il ritrovamento di tracce di sangue sui suoi pantaloni. Materiale ematico che, si sarebbe scoperto più avanti, non apparteneva alla ragazza.

Secondo la ricostruzione dell’epoca, inoltre, non si sarebbe trovato con gli altri portieri, nel cortile dell’edificio, nella finestra temporale in cui si sarebbe consumato l’omicidio, tra le 17.30 e le 18.30.

L’uomo, ritenuto l’ultima persona ad averla vista in vita, è stato arrestato 3 giorni dopo la morte della giovane, il 10 agosto 1990, e rilasciato 26 giorni dopo aver varcato la porta del carcere. La sua posizione è uscita dal fuoco dell’inchiesta per mancanza di prove, dopo essere piombata nel vortice del sospetto che potesse aver ucciso perché rifiutato.

Vanacore avrebbe dovuto testimoniare al processo Busco. Un appuntamento mancato per l’intervenuto suicidio dell’uomo, morto il 9 marzo 2010, 3 giorni prima della sua deposizione. Intorno alla scomparsa del portiere di via Poma, trovato annegato vicino a Toricella, un bivio senza soluzione: ha portato con sé un segreto inconfessabile o è stato vittima a sua volta? Nella sua auto, un biglietto: “Vent’anni di sofferenze e di sospetti ti portano al suicidio“.

La testimonianza su Federico Valle

Nella rosa di nomi al vaglio degli inquirenti è finito anche Federico Valle, tirato in ballo nel 1992 dalla testimonianza di Roland Voller, commerciante austriaco che, ai pm, avrebbe svelato che l’allora 21enne si trovata in via Poma nella finestra temporale del delitto, e che avrebbe riportato una ferita al braccio.

Il “supertestimone” del delitto di via Poma avrebbe riferito quanto sopra ascrivendo quella rivelazione a una confidenza della madre di Federico Valle. Secondo quanto Voller avrebbe detto ai magistrati, il 7 agosto 1990 la donna gli avrebbe confessato di essersi preoccupata per il ritardo del figlio, recatosi in visita dal nonno, l’architetto Cesare Valle, proprio nel suo appartamento sito in via Poma, e di averlo visto rincasare sporco di sangue e ferito.

Sullo sfondo di questa pista, poi decaduta, il sospetto che il movente si nascondesse nella presunta relazione clandestina tra la vittima e il padre di Valle, Raniero, nella convinzione che questa fosse causa della fine del matrimonio dei genitori. I nomi di Federico Valle e Pietrino Vanacore, per un certo periodo, si sono quindi accavallati nel quadro delle indagini, inseriti nel giallo con l’ipotesi che il primo si fosse avvalso dell’aiuto del secondo per ripulire la scena del crimine e far sparire i vestiti di Simonetta Cesaroni. Ma il sangue rilevato sulla porta non corrispondeva a quello del ragazzo.

Simonetta Cesaroni: dove è sepolta

La storia di Simonetta Cesaroni è stata raccontata anche in un film di Roberto Faenza, Il delitto di via Poma, datato 2011. “L’omicidio di via Poma rappresenta una sconfitta per tutto il sistema giudiziario italiano, una sconfitta per lo Stato. Per la famiglia il dolore non cambia, una ferita che non si chiuderà mai anche alla luce di alcuni dubbi che non sono stati sgombrati”. Così l’avvocato Federica Mondani, legale dei familiari di Simonetta Cesaroni, in una dichiarazione riportata dall’Ansa.

Busco vuole dimenticare questa vicenda e vuole essere dimenticato. L’omicidio di via Poma resterà senza un colpevole a meno che qualcuno, in punto di morte, deciderà di parlare e confessare“. Questo, riporta Ansa, quanto dichiarato dall’avvocato Paolo Loria, difensore di Raniero Busco.

La tomba in cui Simonetta Cesaroni riposa è nel cimitero comunale di Genzano di Roma. E il giallo resta fermo lì, sospeso, immobile a resistere al tempo che scorre sulle lacrime di una famiglia che non si arrende, orrore che fa da cornice a quella foto in riva al mare, passata alle cronache come istantanea di una vita normale e senza ombre risucchiata nell’abisso del silenzio.