La storia di Artemisia Gentileschi merita un particolare sguardo, che sappia cogliere le sfumature di strazio dietro il ritratto di una donna di successo.
Il suo tempo, il XVII secolo, è lo scrigno di un orrore che l’ha resa immortale. Il nome e il volto di Artemisia Gentileschi appartengono a un mondo che non c’è più, i cui tratti foschi e violenti sono vibrazione tuttora viva e degna di attenzione. La sua è la storia di una donna abusata e maltrattata, umiliata e screditata ma non derubata del suo sogno. Una guerriera in un pazzesco campo di battaglia, dove tutto è sordo, vile, cieco, che ha scelto di non tacere in un’epoca in cui sarebbe stato più comodo il silenzio.
Chi era Artemisia Gentileschi?
Da vittima a bersaglio di pettegolezzi e maldicenze, fino alla tortura per aver osato denunciare lo stupro subito quando aveva 18 anni. Una causa, quella di Artemisia Gentileschi, che ha aperto le porte alla spinta rosa verso la parità di diritti e la tutela contro la violenza di genere nei secoli a venire.
Ma chi era davvero quella bellissima ragazza che chiedeva giustizia in un tempo di omertà e catene strette intorno al mondo femminile? Nata a Roma l’8 luglio 1593, sotto il segno del Cancro, Artemisia Lomi Gentileschi è morta il 31 gennaio 1654 dopo una vita trascorsa nel segno dell’arte, ferita da un terribile episodio dai riflessi sinistri e indelebili nella sua anima.
Effervescente pittrice di scuola caravaggesca, era figlia di Orazio Gentileschi e Prudenzia di Ottaviano Montoni, prima di 6 figli della coppia. Padre pittore, viveva nella Capitale – allora culla di un incessante fermento culturale e sociale -, e nel 1605 ha perso la madre.
Orfana, è cresciuta sotto l’ala dell’unico genitore rimastole, avviando con lui una straordinaria collaborazione artistica che le ha aperto le porte della storia, ma anche quelle della prigione in cui è affogato il suo cuore…
Artemisia Gentileschi: stuprata, torturata e screditata a processo
Nel 1611, la pittrice è stata affidata dal padre alla guida di Agostino Tassi, artista dalla dubbia moralità e dall’oscura esistenza. Orazio Gentileschi nutriva comunque una grande stima per le sue doti artistiche e si è fidato di lui, finendo per consegnare inconsapevolmente sua figlia nelle mani del carnefice.
La storia di Artemisia Gentileschi, da quel momento, è diventata la storia di tutte le donne costrette una spirale di abusi e sopraffazione. Tassi ha stuprato la sua allieva, e lei ha avuto la forza di trascinarlo in tribunale per chiedere giustizia.
Una denuncia che le è costata un’ulteriore umiliazione pubblica e l’etichetta di donna di facili costumi. Un orrore che l’ha vista vittima una, dieci, cento volte fino alla tortura subita durante il processo choc contro il suo stupratore.
Tassi le ha promesso di sposarla, con la formula del “matrimonio riparatore” (allora ammesso come ‘soluzione’ in grado di restituire dignità a una donna violata). Lei si è fidata di lui, e ha accettato una prospettiva che, invece, non si è mai realizzata.
Il motivo delle mancate nozze con Tassi si è scoperto poco dopo: era già sposato, e le aveva mentito prendendosi gioco anche della sua ingenuità. Così si è aperto il livido scenario processuale a carico del pittore, tradotto poi in una sconcertante parata di umiliazioni e torture ai danni della pittrice.
Artemisia Gentileschi, il femminismo sotto tortura
Artemisia Gentileschi – narrano le cronache relative al processo contro il suo aguzzino – sarebbe stata sottoposta a umilianti visite ginecologiche in pubblico per verificare l’effettiva presenza di segni di violenza sessuale (confermati in un verbale).
Ma non è tutto. È diventata il simbolo del femminismo che resiste alla cattiveria e alla morbosità del mondo, costretta a un interrogatorio sotto tortura per accertare l’autenticità delle accuse mosse al Tassi.
La pittrice è stata sottoposta al supplizio ‘della Sibilla’, cioè alla cruda pratica di legare le dita della vittima con delle corde, strette poi in una morsa: sotto la graduale pressione di un randello sulle falangi, si arrivava infine a stritolare carne e ossa.
La donna avrebbe rischiato così di perdere la vera bacchetta magica del suo talento di artista: l’uso delle mani che, fino ad allora, avevano regalato alla storia una galassia di opere di straordinaria e ineguagliabile bellezza.
Nonostante le atroci sofferenze imposte, Artemisia Gentileschi non ha ceduto a una verità di comodo e non si è sottratta alla realtà: non ha mai ritrattato la sua versione.
La condanna dell’aguzzino
Il 27 novembre 1612 Agostino Tassi è stato condannato a 5 anni di carcere o all’esilio perpetuo dalla Capitale (ha scelto la seconda pena, senza mai scontarla) perché ritenuto colpevole del reato di “sverginamento”.
Al termine dell’iter giudiziario, pur in presenza di un conclamato colpevole, la sola a patire una condanna all’oblio, messa alla gogna in una società cieca e sordomuta, è stata Artemisia Gentileschi.
Per la cronaca una vittima di stupro, per i più della sua era, invece, una semplice bugiarda avvezza a giacere con più uomini, anima senza ombra di redenzione. È a questo periodo di durissimo travaglio interiore e sociale che risale una delle sue opere più celebri, intitolata “Giuditta che decapita Oloferne“.
Chi era il marito di Artemisia Gentileschi?
Appena 2 giorni dopo il giudizio che ha condannato il suo aguzzino, Artemisia Gentileschi ha sposato il pittore Pierantonio Stiattesi, finendo per trasferirsi da lui a Firenze.
L’addio a Roma è stato vissuto dalla donna come una lacerante perdita, ma necessaria a ripristinare intorno a sé la cornice di splendore e onorabilità che le era stata ingiustamente strappata.
Tra gli amici più stretti dell’era fiorentina di Artemisia Gentileschi figurano Galileo Galilei e Michelangelo Buonarroti il giovane, nipote del ben più famoso artista.
In Toscana, la pittrice è diventata la prima donna ammessa all’Accademia del Disegno di Firenze, prestigiosa istituzione fino ad allora a esclusivo beneficio maschile.
È durante la sua permanenza a Firenze che ha adottato il cognome ‘Lomi’, che fu del nonno paterno e di suo padre e con cui avrebbe firmato diversi capolavori.
Dal marito, uomo poco incline alla tenerezza e a onorare i doveri coniugali e patrimoniali, Artemisia Gentileschi ha avuto i figli Giovanni Battista, Cristofano, Prudenzia e Lisabella, perle in uno scrigno di dolori e grandezza.