Nada Cella fu uccisa all’alba dei suoi 25 anni a Chiavari, nel luogo in cui, da qualche anno, lavorava come segretaria. La sua storia e l’atroce fine in un giorno di maggio…
Il delitto di via Marsala, come noto alle cronache, è la definizione cucita sul caso di Nada Cella, segretaria di 24 anni uccisa brutalmente nello studio del commercialista per cui lavorava, Marco Soracco, in uno stabile di via Marsala 14, a Chiavari, il 6 maggio 1996. Un omicidio tanto efferato quanto enigmatico, per decenni senza un colpevole da assicurare alla giustizia e immerso nelle sabbie mobili di un sinistro cold case. Chi ha ucciso Nada Cella, e perché? A un quarto di secolo dall’orrore, la tenacia della famiglia e di una criminologa, Antonella Pesce Delfino, hanno impresso la svolta fornendo agli inquirenti elementi utili alla riapertura e, forse, alla soluzione del giallo. Poi la successiva iscrizione di 3 nomi nel registro degli indagati tra cui una donna, Annalucia Cecere, ex insegnante la cui posizione fu all’epoca vagliata e archiviata e sul cui profilo, nel 2021, si sarebbero addensate pesanti ombre.
Chi era Nada Cella e dove viveva?
Nada Cella era una giovane di 24 anni quando, la mattina del 6 maggio 1996, fu brutalmente aggredita e uccisa all’interno dello studio del commercialista in cui lavorava come segretaria. Scena del crimine la stanza di un appartamento di via Marsala 14 a Chiavari (città della provincia di Genova in cui viveva con i genitori e la sorella), dove si trovava l’attività di Marco Soracco, all’epoca suo datore di lavoro.
Nada era una ragazza solare e al tempo stesso molto riservata, come emerge dal ritratto di mamma Silvana Smaniotto, una giovane con la testa sulle spalle che di lì a poco, il 5 luglio, avrebbe compiuto 25 anni (e altrettanti ne sarebbero passati prima della riapertura, potenzialmente decisiva, delle indagini sulla sua morte). Una data che non avrebbe mai più assaporato, massacrata nel fiore della sua età tra le mura del posto in cui aveva iniziato a lavorare 5 anni prima.
L’omicidio di Nada Cella a Chiavari
Nada Cella venne uccisa la mattina del 6 maggio 1996 nello studio del commercialista Marco Soracco, per cui lavorava come segretaria. L’uomo la trovò in fin di vita, poco dopo le 9, allertò i soccorsi e fu trasportata in ospedale dove, intorno alle 14, sarebbe poi deceduta. Nada Cella fu rinvenuta in un lago di sangue, sul corpo i segni di una brutale violenza, calci, pugni, quello di un corpo contundente quale arma del delitto mai identificata. Così come l’assassino.
Secondo quanto ricostruito all’epoca dei fatti dagli inquirenti, l’aggressione si sarebbe consumata tra le 8.50 e le 9.10, prima che Soracco raggiungesse l’ufficio. All’interno e all’esterno nessun segno di effrazione, vicino al corpo un bottone non appartenente alla vittima e, anche questo, mai attribuito ad alcuno. L’intervento dei soccorritori e di tante altre persone in quella stanza avrebbe prodotto una serie di irreversibili inquinamenti sulla scena del crimine, non prontamente isolata e congelata. La madre di Soracco, residente al terzo piano dello stesso palazzo, addirittura pulì il vano ingresso dell’ufficio e le scale dello stabile dal sangue. Era l’alba di un mistero lungo decenni, uno dei più inquietanti cold case della cronaca nera italiana.
Le indagini sulla morte di Nada Cella e la caccia al colpevole
La prima persona sentita dagli inquirenti fu proprio il commercialista datore di lavoro della vittima, Marco Soracco, allora 34enne e, secondo le indagini, segretamente invaghito di Nada Cella e non corrisposto. Interrogata anche la madre di lui, entrambi poi usciti dal fuoco dell’inchiesta. 25 anni dopo l’omicidio, sarebbero stati iscritti nel registro degli indagati per false dichiarazioni al pm. Questo perché, diranno le cronache, nel 1996 avrebbero mentito a proposito del rapporto tra Soracco e Annalucia Cecere, insegnante che per lui avrebbe invece nutrito uno spiccato interesse.
La donna, all’epoca 28enne, nel 2021 è risultata indagata – dopo che la sua posizione era stata archiviata nell’immediatezza dei fatti – con l’ipotesi di omicidio. Per l’accusa avrebbe covato una gelosia tale da costituire un potenziale movente, e avrebbe ambito a stare vicino al commercialista prendendo il posto di lavoro che era di Nada Cella. La donna, subito dopo l’omicidio, si sarebbe trasferita in Piemonte. Per 25 anni, la morte della segretaria è rimasta nel limbo dei cold case, fino a che la tenacia della famiglia e di una criminologa, Antonella Pesce Delfino, hanno imposto alle indagini lo slancio per ripartire e per ridare colore a un giallo sbiadito da anni di silenzio, lacune investigative e interrogativi senza risposta.
La riapertura del caso Nada Cella
Con un salto indietro nel tempo, tornando alla scena del crimine del caso Cella, si scopre che quel bottone repertato vicino al corpo della giovane sarebbe stato simile a quelli trovati nella disponibilità di Annalucia Cecere, rinvenuti in un cassetto della sua casa e, incredibilmente, sottoposti a mera comparazione fotografica quindi rimasti senza una chiara attribuzione in sede investigativa. Anche questo fa parte della cascata di elementi su cui si sarebbe fondata la riapertura del caso nel 2021. Pesce Delfino e l’avvocato Silvana Franzone, legale della famiglia Cella, avrebbero ripreso in mano le carte della prima inchiesta finendo per individuare un bacino di tasselli ancora da chiarire e potenzialmente assoggettabili a esami approfonditi con le attuali tecnologie in mano agli inquirenti.
Tra questi anche alcuni audio che richiamano la testimonianza di una donna – rimasta per decenni anonima – che aveva detto di aver visto l’indagata Cecere, la mattina del delitto, proprio sotto lo studio di Soracco mentre andava via sul suo motorino con aria visibilmente sconvolta. “Era sporca“, dice l’anonima in una telefonata fatta poco dopo l’omicidio all’anziana madre di Soracco. Nell’audio, la voce anonima parla anche di altre 4 persone che, con lei, avrebbero assistito alla stesa scena preferendo però tacere.
Nel 2021, con il riavvio delle indagini, gli investigatori avrebbero sequestrato lo stesso motorino indicato dall’anonima testimone, individuandovi tracce verosimilmente ematiche da sottoporre ad analisi con luci forensi, luminol e altro. A caccia, ancora una volta, del colpevole.